Mi chiamo Lucy Barton di Elisabeth Strout


Oggi vi parlo di un romanzo bellissimo di Elisabeth Strout, scrittrice già Premio Pulitzer 2009, una sorta di storia nelle storie che mi è piaciuto davvero molto.

Quando si inizia a leggere questo libro, subito si affonda beatamente in una atmosfera incantata, grazie alla narrazione delicata che parla di una madre e una figlia e della loro grande incomunicabilità.

La trama del libro è già splendidamente illustrata dal disegno in copertina che ricalca esattamente le prime pagine del libro: una donna alla finestra di un grande ospedale di New York guarda il grattacielo Crysler davanti a sè, illuminato nel buio della notte.
E' Lucy Barton, che durante un ricovero in ospedale durato alcuni mesi, viene raggiunta dalla madre con la quale aveva sempre avuto una relazione difficile, così come con il resto della famiglia. Nel breve tempo di questi giorni particolarissimi, madre e figlia si ritrovano in qualche modo, con le parole, con i ricordi, con i racconti del passato, parlando di sè e di quello che sono o che sono diventate, condividendo forse una tiepida intimità mai vissuta precedentemente.
La storia proseguirà anche oltre questo incontro seguendo i protagonisti nella loro vita, fino a dare un senso ai silenzi e alla fragilità dei rapporti umani.

Intorno a questo nucleo narrativo centrale, ruotano molte altre piccole storie che fanno da corona e da ventaglio alla storia principale, tutte comunque sono raccontate in modo così spontaneo che sembra di viverle in diretta, mentre su tutto il romanzo aleggia una fluttuante, incombente brezza di malinconia, una nostalgia ineluttabile di dolore non detto, non parlato, non esplorato.

Un libro consigliatissimo, vorrei finire questo post con le ultime righe del romanzo...


Di recente mi capita di pensare a come d'autunno il sole calzava sui campi intorno alla nostra piccola casa. La vista spaziava all'orizzonte, a trecentosessanta gradi, con il sole che scendeva alle spalle mentre il cielo davanti diventava di un rosa delicato e poi di nuovo vagamente azzurri, come se non potesse interrompere il suo ciclo di bellezza, e poi la terra più vicina al tramonto scuriva, fino a farsi quasi nera, contro la linea arancione dell'orizzanote, ma se ti giravi, c'era ancora terra disponibile allo sguardo, e di una tale dolcezza, qualche albero, e terreni a riposo già dissodati, e il cielo che resiste, resiste e infine cede al buio. Come se l'anima potesse far silenzio in quei momenti.
     La vita mi lascia sempre senza fiato.





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